giovedì 23 giugno 2011

Maybe Later

Il mio povero blog langue, ma non le mirabolanti idee che sbucano ogni giorno tra le pieghe del mio cervello - così mirabolanti da sparire un istante dopo essere apparse. 
Oggi, nell'attesa di trovare il tempo per buttarle giù sotto forma di parole umanamente comprensibili, recupero una paginetta appartenuta al mio vecchio blog, datata 28 agosto 2009. Ora, il caro estinto è stato chiuso perché avevo compreso nel profondo di non essere fatta per scrivere un blog, salvo poi aprirne un altro (questo qua) un paio di mesi dopo, a lutto ancora pieno.
Non ne ho sentito la mancanza per un solo secondo: scrivere senza sentirsi falsi è quasi impossibile. La sensazione di stare scrivendo apposta per farsi leggere è qualcosa di odioso - poi magari non ti legge nessuno, ed è un bene - e starsene lì a pesare ogni parola, a centellinare i pensieri, mi ha portata a scrivere, in un blog di due anni, 4 o 5 post, non di più, di poche poche righe ciascuno, e quelle poche righe erano state spremute da una mente vigliacca e imbrigliata che voleva esporsi timidamente e presuntuosamente, senza tirare fuori nulla di sé. Non mi è servito a nulla, e salvo solamente questa paginetta che tra poco riporterò.
La salvo perché è dedicata ad una persona, un'amica, perché è dedicata ad un ricordo di tanti anni fa e perché, in un qualche modo, mi influenza ancora adesso.
Eccola qua.



Un istante prima di
venerdì, 28 agosto 2009
Erano, molto semplicemente, foto ritagliate da riviste varie, quelle che ci guardavano assorte sui nostri banchi di studentesse in gita/studio a Vichy (sì ,quella dei prodotti di bellezza) al CAVILAM, era settembre ed era il 2003. 
Il nostro compito era quello di dare un titolo al volo alla foto che ci era capitata sotto il naso, senza nessuna premeditazione, così, un'impressione immediata, e se l'impresa presentava le sue difficoltà in italiano, in francese diventava uno sforzo abominevole. Il terrore di esprimere una propria idea e il terrore di esprimersi in una lingua straniera erano vicini a tal punto da fondersi, e le due cose sono ai primi posti nella lista dei miei terrori, assieme agli insetti e agli ascensori (la paura per le scale mobili un po' alla volta la sto superando. Comunque quando mi capita di salirci tolgo sempre la sciarpa). 
Non è strano quindi che ricordi alla perfezione la foto che commentò una mia amica ma non la mia.
Bianco e nero, un uomo accovacciato come una ranocchia che ha avvistato la foglia su cui saltare, le braccia tese in avanti, la tensione nelle zampe nerovestite.
O forse questo è solo il modo in cui la mia mente l'ha rimodellata, e questa foto che sto ricordando in realtà non esiste se non tra le pieghe del mio cervello (un cervello fatto come uno sharpei), fatto sta che il commento della mia amica fu dirompente, inaspettato, lucido e assieme irrazionale, teso al salto come le zampe da raganella del tizio nerovestito. 
"Un moment décisif", disse, e la professoressa francese, che si chiamava Albero, le sorrise entusiasta.

Sto pensando e ripensando a quella foto. Pensando e ripensando a quelle parole. 
"Un moment décisif", un momento decisivo. Bloccato per sempre con la tensione nei muscoli, con lo sguardo puntato in avanti, boccheggiante, ansioso, i pensieri in tumulto, un istante prima del balzo. 
Chissà che male deve avergli fatto, la testa, con tutte quelle paure che si rincorrevano, con tutti quegli errori ipotetici che gli si paravano davanti, con tutte quelle domande e tutte quelle risposte, col paesaggio che da grigio diventava nero e poi striato e poi turbinante e caotico caleidoscopio da nausea immediata. Chissà il bruciore alla gola, chissà il respiro strozzato, chissà il sudore freddo, chissà, chissà.
O magari non pensava proprio a nulla, e il fotografo era stato solo bravo a cogliere l'attimo giusto che precedeva un qualunquissimo tuffo. O addirittura lo aveva messo in posa lui, e la tensione nei muscoli era posticcia, l'aria da ranocchietta pure.
Proprio adesso mi spunta in mente, quella foto. Non sto neanche a domandarmi il perchè.
E' tale l'allenamento da pre salto che ormai la tensione nei muscoli non la sento nemmeno più. E' quel che viene dopo che non oso immaginare come sia.



Ah, la mia foto non la ricordo, però alla signora Albero devo aver timidamente (ma col sorriso) commentato una cosa del tipo "Sembra un quadro di Magritte".
In Francese, ovviamente.

2 commenti:

  1. Sai, Norma, non so perchè ma questo post, anche se fa parte del vecchio blog, mi sembra molto sincero e spontaneo...
    La cosa più strana di quella foto è che non è stata scelta(presente la mano che fruga freneticamente a caso tra i fogli per la smania del proprietario della mano di tornare al banco?). Magari molte cose che lasciano qualcosa a qualcuno (sia pure una piccola cosa) accadono così...

    RispondiElimina
  2. E' spontaneo perchè nasce da un ricordo vero, di quelli che si sedimentano e che ogni tanto riproponi, e col tempo diventa quasi un proverbio, una favola da raccontare. E' per questo che meritava di essere salvato! :)

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...